Il primo tappeto volante della storia

Intervista esclusiva all’inventrice, direttamente dal futuro

2298. La signora Hope è seduta nel suo ufficio, al 429esimo piano.

I capelli corti, gli occhiali grandi e rotondi (è tornato di moda lo stile 2020), gli occhi azzurri sbarazzini. Ci accoglie con garbo, ci offre un caffè.

Siamo venuti da lei per parlare dell’invenzione che ha cambiato la sua vita. E anche la nostra.

Il primo tappeto volante della storia.

“La definizione corretta sarebbe tappeto #hope autoportante sinalare con accelerazione sul dorso w=1/2p”. Ci corregge subito.

Chiediamo scusa per l’imprecisione. Le spieghiamo che i nostri lettori non sono avvezzi alle formule matematiche dei profili alari, per cui ci prendiamo la briga di semplificare.

La signora Hope fa sì con la testa.

“Allora, se è per i lettori, possiamo nominarlo tappeto volante”, concede.
Sorridiamo. La ringraziamo.

Di fatto, è un tappeto che vola.
È sotto i nostri piedi. La signora Hope ci appoggia i tacchi ottagonali da 32 centimetri (l’ultima uscita della collezione Estate 2298).

Il tappeto è molto bello. Di eccellente manifattura. La signora Hope ci spiega che è stato realizzato da un artigiano sardo, secondo antichi modus operandi. Il laboratorio è nato nel 2022.
Ben 276 anni fa.

Lo guardiamo con meraviglia. Non abbiamo mai visto un tappeto tanto bello in vita nostra.

La signora Hope intercetta il nostro sguardo, solleva la punta delle scarpe fosforescenti, la infila sotto l’angolo del tappeto, che sembra levarsi impercettibilmente. Il meccanismo è wireless e, in questa nuova versione #hope298, i comandi sono intellettivi. Non c’è bisogno di tasti, di voce, di movimenti. È tutto nella mente.

Davanti ai nostri occhi il tappeto prende quota, si arriccia come un gatto, sembra prendere vita. La signora Hope si sposta su un lato, tira via i piedi, lascia spazio.

Ci fa segno di salire.
Lo facciamo con un po’ di titubanza. Non l’abbiamo mai fatto.
La signora Hope apre le finestre.
Il tappeto decolla.

Non c’è liberazione di vortici dalle estremità, non ci sono flussi, non ci sono ali. Siamo a un’altezza di 601 metri da terra. Con questo ultimo modello, che si chiama precisamente #hopeKclock298, potremmo raggiungere gli 828 metri, circa.
Sotto di noi, a 300 metri, uno stormo di uccelli migratori.

Il tappeto ci fa fare un giro rapido sulla città. Qui l’intero nucleo urbano si è quasi del tutto spostato sugli alberi. La città è totalmente riforestata. Qua e là notiamo ancora qualche macchia di cemento. Il resto è verde. Le persone hanno preso a spostarsi senza mezzi. I più fortunati utilizzano i tappeti #hopeautoportanti se le distanze da coprire sono limitate.

Il tappeto ci riporta indietro.
Passa attraverso la finestra. La signora Hope sta suonando.

Il tappeto ci fa scendere. Si rimette al suo posto. Ci accomodiamo.

Confessiamo che non abbiamo ancora acquistato nessun modello di tappeto #hope, che i prezzi attuali sono ancora proibitivi per la maggior parte della popolazione.

“In verità – ci interrompe – il meccanismo da me inventato, di traslazione aeromobile, non è costoso. Quel che si paga è l’artigianalità di chi crea il tappeto, intreccia la lana, il cotone grezzo, dà vita a una trama fitta di sfumature irripetibili. Crea un’opera d’arte. L’artigianalità è il vero cuore del design, sempre. In ogni epoca. Non dobbiamo mai dimenticarlo”.

Com’è nata l’invenzione di questo oggetto di design così rivoluzionario?

“È una storia abbastanza banale. Mio figlio era appassionato delle “Mille e una notte” e voleva a tutti i costi un tappeto volante. Gli ho detto che non esistevano”.

E lui come ha reagito?

“Non hai sempre detto, mamma, che le cose che non esistono sono le migliori perché possono essere inventate domani?”

Era questo ciò che diceva?

“Sì, ma non sapevo che mi avrebbe preso alla lettera”, ride di gusto la signora Hope.

E quindi che cosa ha pensato di fare?

“Sono una designer. Ho sempre avuto la passione per l’avanguardia che coniugasse contemporaneità e tradizione. Ho fatto ricerche, ho viaggiato, ho studiato moltissimo, ho saccheggiato librerie antiche. E per ben 15 anni ho fatto prove su prove. Infine, eccoci qui”.

Come mai nessun altro aveva pensato a un’invenzione di questo genere?

“Credo che oggi il design sia troppo orientato esclusivamente all’estetica e poco alla funzionalità. Senza nessun ricorso all’artigianato. Oggi tutti abbiamo in camera lo specchio che ci mostra come eravamo 20 anni fa, oppure la luce che in casa riesce a creare una patina artificiale sul volto per eliminare le imperfezioni, o ancora le statue che prendono vita per accogliere gli ospiti all’ingresso. È tutto superficie. I materiali sono scadenti. Non c’è attenzione al lavoro manuale. Nessuno ha inventato un oggetto di design che coniughi estetica a praticità, eleganza a funzionalità. Qualcosa che ci permetta, magari, di velocizzare gli spostamenti, portando in giro l’arte dell’artigianato. Era questa la mia idea”.

Restiamo colpiti da questo discorso. Forse non ce lo aspettavamo.
Purtroppo guardiamo l’orologio.

Avremmo ancora molte domande da fare. Alcune cose ci lasciano perplessi. La signora Hope è un personaggio controverso nel 2298.
Ma il nostro tempo è scaduto.

La salutiamo.

“Crede che l’uomo, un giorno, riuscirà a volare come un uccello?” Le chiediamo.

“Le ali sono faticose da portare. Ci vuole coraggio. E quelle degli essere umani sarebbero troppo pesanti. Gli uomini sono pigri”.

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