Le case che siamo di Luca Molinari, dai Tre Porcellini al Grande Fratello: che significa “casa”?

La casetta dei Tre Porcellini e quella del Grande Fratello, a confronto. Che cosa hanno in comune?

Luca Molinari, architetto, scrittore, docente, critico, ci racconta le case. Ci porta a pensare che casa siamo, soprattutto dopo il Covid-19. Ci dice anche che casa saremo, che casa potremmo essere tra dieci o venti o cinquant’anni. Tutto nel suo libro, edito da Nottetempo nel 2016, Le case che siamo.

Da dove parte tutto?

Da una pagina. Da una pubblicità dell’Ikea. Il colosso svedese ha modificato l’idea di interni di moltissime abitazioni, il concetto di casa che giace nella mente di coppie giovani, di famiglie, di studenti.

Non solo Ikea. Luca Molinari, nella sua introduzione, si sofferma sulle tipologie di sharing all’interno dei condomini del Bel Paese. Che cosa significa sharing? Condividere gli ambienti della propria casa con viaggiatori, con turisti provenienti da tutto il mondo. Una casa aperta, non più “intima”, per una famiglia “ampliata”.

Un’introduzione originale che ci porta a leggere il libro tutto d’un fiato.

La casa, ci dice Molinari, sembra essere “il fenomeno” su cui meno ci stiamo soffermando dall’inizio degli anni 2000, preferendogli l’ampia disamina sugli spazi pubblici, sulle riqualificazioni urbane. Eppure è il luogo per eccellenza. Casa, in fondo, significa molte cose.

La casa come miraggio, la casa come investimento, la casa come rifugio, la casa per ripartire, la casa per abitare.

C’erano un tempo tre porcellini che decisero di prendere ciascuno la propria strada da adulto.
Che cosa fare per prima cosa? Beh, costruirsi una casa, ma certo.
A che cosa stare attenti? Al lupo. Non bisogna far entrare il lupo in casa, bisogna proteggersi dal pericolo.
Il porcellino più piccolo si sbriga in fretta, costruisce la sua casa di paglia, pensa di essere in salvo.
Il Porcellino Medio la costruisce di legno, il Porcellino Grande con solidi mattoni.
La storia è nota. Il Lupo arriva, soffia sulla casetta di paglia, divora il Porcellino Piccolo. Ma non gli basta, si dirige verso la casetta di legno, gli dà fuoco, divora il Porcellino Medio. Ma è presso la casa di pietra, quella più solida, che il Lupo cattivo trova la sua fine.
Non riesce a buttarla giù soffiando, non riesce a dargli fuoco, non riesce con l’astuzia. Si cala dal camino, finisce dentro la pentola bollente.

Secondo Molinari la favola dei Tre Porcellini è “la metafora delle virtù borghesi del buon costruire”.
La casa del porcellino più grande rappresenta l’idea di casa borghese che si è diffusa in tutto il mondo in epoca moderna. Il luogo in cui ripararsi, in cui stare al caldo, in cui essere autonomi.

Per sviscerare ancora meglio il concetto di casa e di abitare Molinari ci porta dritti nel pensiero di Adolf Loos, architetto e pensatore molto caro alla teoria del Raumplan, gli ambienti che si generano dalla “voce psicanalitica” di chi li progetta.

Per tutto il Novecento assistiamo al dilagare di villette unifamiliari in cui vengono custoditi gioie e segreti. Non a caso, ci racconta Molinari, le case sono i luoghi protagonisti di alcuni dei più gravi fatti di cronaca del secondo scorso. Loro, le case silenziose, private, le cantine, i garage.

Nel suo libro Molinari passa dalla “casa solida” alla “casa dominante”, quella collocata sul punto più alto, quella simbolo di colui che si innalza dal suolo comune. L’autore passa poi a citare Palladio, naturalmente, la magnificenza delle Ville Venete che ispirarono Jefferson per i primissimi progetti della Casa Bianca. E non si ferma. Attraversa il boom economico, approda alle “case senza radici”, quelle in movimento. E prosegue indagando le “case sacre” e le “case trasparenti”, queste ultime “uno dei sogni ossessivi e più contronatura di tutta la modernità”.
La casa di vetro (a proposito, si può vivere in una casa di vetro? Casa non è sinonimo di rifugio, di riparo, di intimità?) è l’opposto della casa di pietra del Porcellino Grande, quella borghese dell’Ottocento.

La casa di vetro è la Casa del Grande Fratello, visibile da tutti, h24, estranea al pudore, in cui lo sguardo altrui si insinua con naturalezza, senza vergogna.

Il libro di Molinari, insomma, ci spinge a ricordare, a forgiare (o a nutrire) la nostra memoria degli spazi, delle architetture, che passano dall’essere forme fisiche a forme mentali. Ci spinge a indagare le caratteristiche di ogni casa, e a pensare involontariamente alla casa che siamo, in cui siamo nati, o a quella che saremo un giorno, o a quella che sogniamo. Sarà solida? Sarà intima? Sarà isolata? Che cosa rappresenterà? Che cosa dirà di me, come persona, come cittadin*? E quanto si assottiglierà, ancora, il confine labile tra pubblico e privato? Quanto ne risentirà il concetto di casa?

Molinari, nel suo pamphlet, ci restituisce una riflessione originale sull’idea di casa, dalla sua storia, alla sua trasformazione, dal concetto insito nella progettualità di un luogo cardine della nostra identità, fino al suo racconto.

E alla fine, di fatto, ci dona la consapevolezza utile a immaginare la visione di casa che si delineerà nel prossimo decennio.
Un libro facile da leggere, interessante, utile, stimolante.

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